Le sabbie di Marte
Sì, certo, era sempre interessante, pensò Gibson. Naturalmente quei radiosegnali non erano indispensabili quando era possibile vedere costantemente la propria destinazione, ma semplificavano in parte i problemi della navigazione spaziale.
«Credo che basti» disse Bradley, girando la manopola e restituendo alla stanza un gradevole silenzio. «Comunque dovrebbe darti qualche buono spunto per i tuoi scarabocchi… Ho l’impressione che da un po’ di tempo ti stia annoiando, no?»
Mentre parlava tenne gli occhi fissi su Gibson, ma questi si guardò bene dal rispondere. Si limitò ad annotare poche parole nel suo taccuino, ringraziò Bradley con fare distratto e gentilezza insolita e lasciò la cabina.
«Hai proprio ragione» disse Norden quando Gibson se ne fu andato. «Dev’essergli successo qualcosa. Voglio parlarne col dottore.»
Gibson era in quello stato da circa una settimana. La prima emozione nello scoprire che Jimmy Spencer era il figlio di Kathleen Morgan si era un poco affievolita, ma adesso cominciavano a farsi sentire gli effetti secondari di questa emozione, tra cui un senso quasi di rabbia al pensiero che una simile esperienza fosse toccata proprio a lui. Era una grave violazione alle leggi della probabilità… un caso che non si sarebbe mai verificato in un suo romanzo. Ma la vita è così poco artistica, e alla sua mancanza di stile non c’è assolutamente alcun rimedio da opporre.
Non gli serviva fingere con se stesso, dirsi che in realtà non era cambiato niente, pensare lo sapevo che Kathleen e Gerald avevano avuto un figlio. Cosa me n’importa ormai? Invece gliene importava, eccome. Ogni volta che vedeva Jimmy gli tornava alla mente il passato e peggio ancora il futuro che avrebbe potuto essere e che non era stato. Comunque, il problema più urgente per lui adesso stava nell’affrontare i fatti con decisione, dominando con energia quella nuova situazione.
Jimmy era andato nell’Emisfero Meridionale, e stava ritornando lungo il ponte equatoriale d’osservazione quando vide Gibson seduto a un finestrino. Per un attimo ebbe l’impressione che lo scrittore non l’avesse visto, e aveva già deciso di non distoglierlo dalle sue meditazioni quando si sentì chiamare.
«Ehi, Jimmy! Hai un momento da dedicarmi?»
Per la verità, Jimmy aveva parecchio da fare, ma si era accorto che da qualche giorno Gibson aveva qualcosa che non andava, perciò si sedette sullo sgabello incastrato sotto l’oblò d’osservazione, e presto seppe tutta quella parte di verità che Gibson ritenne opportuno comunicargli nell’interesse di entrambi.
«Desidero dirti una cosa che solo pochi sanno» cominciò Gibson. «Ti prego di non interrompermi e di non farmi domande, almeno finché non avrò finito… Quand’ero ancora molto giovane, più giovane di te, avrei voluto diventare ingegnere. Ero uno studente alquanto brillante, a quei tempi, e non ebbi difficoltà a superare gli esami di ammissione all’università. E poiché non ero ancora ben sicuro di quale carriera avrei scelto, mi iscrissi a ingegneria fisica, una materia allora pressoché nuova. Durante il primo anno me la cavai piuttosto bene, tanto che mi sentii incoraggiato a lavorare ancora più sodo. Superai anche il secondo anno, meno brillantemente ma sempre meglio della media. Il terzo anno m’innamorai. Non era la prima volta, ma compresi che quella era la volta buona.
«Innamorarsi durante gli anni d’università può essere un bene e anche un male. Dipende dalle circostanze. Se si tratta solo di un capriccio passeggero, in generale non influisce né in bene né in male. Ma se si tratta di una cosa seria ci sono due eventualità. L’amore può agire come incentivo, può spingerti a fare ancora meglio per dimostrare alla donna del tuo cuore che vali più degli altri tuoi compagni. Oppure, ti puoi impegnare sentimentalmente a un punto tale da farti sembrare degno d’interesse soltanto il tuo amore, e allora lo studio va a farsi benedire. È quello che purtroppo è successo nel mio caso.»
Gibson s’interruppe e rimase a lungo assorto, in silenzio. Seduto nell’oscurità, a pochi passi da lui, Jimmy gli diede un’occhiata furtiva. Si trovavano sul lato notturno della nave, e le luci del corridoio erano state attenuate perché le stelle si vedessero nel loro incomparabile splendore.
È proprio vero, si chiedeva Gibson, che nessuno riesce mai a dimenticare niente? Gli pareva adesso che fosse davvero così. Rivedeva ancora, distintamente come se fosse tornato indietro di vent’anni, l’annotazione sul quadro degli avvisi della facoltà: "Il Preside della Facoltà d’Ingegneria desidera vedere il signor Gibson nel suo studio alle 3 pomeridiane di oggi". Naturalmente aveva dovuto aspettare il solito quarto d’ora accademico.
Gibson aveva sempre stimato e rispettato il Preside, malgrado la sua aria distaccata e la sua pedanteria, e la delusione nel sentirsi buttato a mare era stata ancora più dura da sopportare. Il Preside si era sbarazzato di lui con la tecnica più del rammarico che della collera, che anche questa volta si era dimostrata assai efficace.
A peggiorare la situazione, per quanto si vergognasse di ammetterlo, c’era stato il fatto che Kathleen aveva invece superato gli esami brillantemente. Quando erano stati pubblicati i suoi risultati finali, Gibson l’aveva evitata per vari giorni, e quando si erano rivisti lui l’aveva già identificata con la ragione del suo insuccesso.
Il resto era stato inevitabile. Avevano avuto un litigio durante la loro ultima gita in bicicletta, ed erano rientrati per strade separate. Poi le lettere che non erano state aperte, e soprattutto quelle che non erano state scritte. Il loro sfortunato tentativo di ritrovarsi, non fosse che per dirsi addio, durante la sua ultima giornata a Cambridge. Il suo biglietto non aveva raggiunto Kathleen in tempo. Lui aveva atteso fino all’ultimo momento, ma la ragazza non era venuta. Il treno affollato, gremito di studenti vocianti, era uscito rumorosamente dalla stazione lasciandosi dietro Cambridge e Kathleen. Gibson non avrebbe più rivisto né l’università né la radazza.
Era inutile parlare a Jimmy dei mesi di nera disperazione che erano seguiti. Non c’era bisogno di fargli sapere il vero significato di quelle semplici parole: "Ho avuto un esaurimento nervoso e sono stato consigliato di non riprendere gli studi". Il dottor Evans l’aveva rappezzato con molta abilità, e di questo gli sarebbe stato eternamente grato. Era stato Evans a spronarlo a scrivere durante la convalescenza, con risultati che avevano sorpreso entrambi.
Evans gli aveva dato una personalità nuova e una vocazione grazie alla quale aveva riguadagnato la fiducia in se stesso. Ma non aveva potuto restituirgli l’avvenire che aveva perduto. Per tutto il resto della sua esistenza, Gibson avrebbe sempre invidiato gli uomini che erano riusciti a portare a termine quello che lui aveva soltanto iniziato, gli uomini che potevano aggiungere al proprio nome titoli e qualifiche che lui non avrebbe mai avuti, e che avrebbero trovato la loro ragione di vita in sfere di attività di cui lui sarebbe rimasto soltanto spettatore.
Se il guaio fosse stato tutto li, non avrebbe poi avuto grande importanza. Ma gettando la colpa su Kathleen per salvare il suo orgoglio, si era rovinato l’esistenza. Lei, e con lei tutte le altre donne, erano state identificate da lui con l’insuccesso e la vergogna. Tranne qualche relazione effimera, Gibson non si era più innamorato, e sapeva che ormai la sua vita sentimentale era conclusa. Ma conoscendo il motivo del suo male era stato perlomeno in grado di trovare il rimedio.
Quando ebbe finito, Gibson fu sorpreso di constatare con quanta nervosa impazienza attendesse la reazione di Jimmy.
Non poteva distinguere la faccia di Jimmy, perché il ragazzo era in ombra, e quando finalmente questi parlò gli parve che fosse trascorsa un’eternità.
«Perché mi avete detto tutto questo?» chiese con voce calma, assolutamente neutra, scevra sia di comprensione sia di rimprovero.